attraversare le emozioni, insieme.

In questi giorni avrei dovuto scrivere di un libro, ma, come a volte capita, in modo sorprendente e bello, durante un momento di lettura con Leo, ho cambiato idea.

e ho scelto di raccontarvi “Zeb e la scorta di baci” di Michel Gay, edito da Babalibri.

Ammetto che non sono un’appassionata di animali umanizzati, ma Zeb entra nel cuore.

Zeb è una piccola zebra in partenza per il suo primo campo estivo.mentre prepara la valigia capisce che dormirà, per la prima volta, lontano dalla mamma e dal papà.

questo la intristisce molto.

i genitori però, molto amorevoli e attenti, preparano per la loro piccola zebra dei foglietti con le impronte dei loro baci, così, quando zeb avrà nostalgia di loro, potrà sentire il calore del loro affetto come se stessero lì accanto  a lei.

il giorno del campo estivo arriva e, quando il treno parte, mamma e papà zebra salutano la piccola Zeb, che, per non dare dispiacere ai suoi genitori,e forse, anche per non farsi vedere triste dagli amichetti, finge di non provare tristezza.

ma poi, quando nessuno lo vede, Zeb apre la scatola dei baciocaramella e se lo avvicina alla guancia.

quando cerca di addormentarsi però, il pianto inconsolabile di un’altra piccola zebra non lo fa dormire.

nonostante la vergogna, Zeb vuole aiutare la zebra e gli offre un baciocaramella.

anche gli altri compagni di viaggio, incuriositi dalla scorta preziosa di Zeb, vogliono un bacio.

e così, senza accorgersene, piano piano, tutti si addormentano, anche Zeb.

che viene svegliato, la mattina seguente, dalle voci entusiaste delle altre zebre.

“guarda, si vede il mare!”

arrivati sul posto, zeb sente di non aver più bisogno della sua scorta di baci e la regala alla piccola zebra che aveva consolato la sera prima.

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un’altra ammissione che devo fare(dopo quella sugli animali umanizzati) è quella sulla comprensione di questa storia.

nonostante sia una delle storie più richieste dai bimbi durante gli incontri di lettura che organizzo, il senso mi è arrivato solo qualche giorno fa, mentre la leggevo insieme a leo.

“zeb è tiste.zeb vuole mamma e papà!mamma zeb è gande”.

ecco, come spesso accade, il cuore aperto di Leo riceve il senso delle storie.

Zeb sta diventando grande, è in quella fase eccitante ma allo stesso tempo critica che porta un bimbo ad essere autonomo, emotivamente e praticamente.

la scuola, le prime gite, l’indipendenza che piano piano si acquisisce nel mangiare, nel vestirsi, e anche nel gestire le proprie emozioni.

le cose che mi sono arrivate dritte e forti sono(ecco il mio solito elenco):

-il ruolo, fondamentale, dei genitori ;la loro presenza, amorevole e allo stesso tempo fiduciosa e positiva, aiuta la piccola Zeb ad attraversare questo momento del distacco in un modo intenso ma sereno.

-spesso condividere le proprie emozioni, tirarle fuori, aiuta non solo gli altri ma anche sè stessi.

-l’amore quando c’è, si sente, che sia lontano, che sia vicino.

insomma, “Zeb e la scorta di baci, illustrato in modo tenero e semplice, è una storia bella e preziosa non solo per i bambini, ma anche per i genitori che spesso non sanno come ATTRAVERSARE le emozioni dei loro piccoli in modo sano e sereno.

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una zuppa dal sapore prezioso.

Questa storia mi fa sentire sospesa.

Per come inizia, per come finisce e per come potrebbe andare dopo la fine.

una zuppa di sasso 1

Tutto inizia in una notte di inverno, con l’arrivo, in un villaggio di case innevate e silenziose, di un lupo che porta sulla spalla un sacco.

Il lupo bussa alla porta della casa della gallina, che, dopo un iniziale spavento , incuriosita, lo fa entrare.

La gallina si spaventa: “Il lupo!”

“non aver paura, gallina, sono vecchio e non ho più nenache un dente.

lasciami scaldare al tuo caminetto e permettimi di preparare la mia zuppa di sasso”.

La gallina non sa cosa fare; certo non è tranquilla ma è curiosa: non ha mai visto un lupo vero, lo conosce solo dalle storie ..

E le piacerebbe molto assaggiare una zuppa di sasso.

Decide di aprire la porta.

pian piano tutti gli abitanti del villaggio, con la scusa di controllare che non stia accadendo qualcosa di brutto in quella casa, restano e aggiungono anche un ingrediente alla zuppa di sasso.

Una zuppa talmente buona che viene servita tre volte, insieme al vino, tra risate e piacevoli chiacchiere dei commensali.

ad un certo punto, però, il lupo dice di dover andare via.

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e allora, con la fine, iniziano le mie domande.

perchè il lupo va via all’improvviso, senza dare spiegazioni?

forse voleva solo far scoprire agli abitanti del villaggio quanto è bello condividere ,stare in compagnia ?

forse voleva far riflettere sul valore dell’ospitalità e di quanto, a volte, sia necessario abbattere certe diffidenze nei confronti di viene definito cattivo da quasi tutti?

quale sarà la prossima tappa del suo viaggio, un altro villaggio di case silenziose che dopo il suo passaggio non saranno più tali?

ho letto questo libro anni fa a bimbi di due anni e mezzo e recentemente a bimbi più grandi.

il risultato è stato sempre lo stesso: silenzio, sguardi attenti, domande sorprendenti, risposte sorprendenti

“Una zuppa di sasso”di  Anais Vaugelade edito da babalibri è una storia magica, avvincente e impreziosita da un finale che ti fa venire voglia di seguire il lupo.

forse, mi sono fatta troppe domande.

forse il lupo è solo un semplice  lupo che fa semplici zuppe di sasso.

 

però si sa,ognuno di noi vede, nelle storie, quello che in qualche modo ha dentro e vuole vedere.

 

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i lupi non sono cattivi.

la storia di Cappuccetto Rosso non mi ha mai lasciato nulla dentro.

o meglio, al contrario delle altre favole che mi venivano raccontate, che, in qualche modo, mi trasmettevano qualcosa di magico, quella di cappuccetto rosso mi inquietava e basta.

l’idea che un lupo possa entrare con quella facilità in casa di una persona, che due persone entrino nella pancia di un lupo e ne escano vive, il cacciatore che spara.

e poi, il lupo è l’animale del mio cuore, e forse, già da bambina, sapevo che in realtà non è cattivo.

e così, in questi anni, mi sono messa un pò a studiare questo animale.

il sistema con cui organizza il branco, il coraggio dei lupi che decidono di abbandonarlo per crearne uno nuovo, la maternità delle mamme lupo, fortissime e molto protettive allo stesso tempo.

e così, quando, qualche anno fa, ho incontrato una storia nella quale il lupo è illustrato in un modo diverso, Cappuccetto Rosso mi ha fatto storcere di meno il naso.

“in bocca al lupo”, di Fabian Negrin, edito dalla OrecchioAcerbo, è un piccolo, sottile albo illustrato che, nel 2004 ha vinto il premio Andersen come miglior produzione editoriale “fatta ad arte”.

effettivamente, le illustrazioni di questo libricino(che assomiglia più ad un quaderno che ad un libro) sono potenti, poetiche, musicali.

emanano il fruscio delle foglie, l’eco degli animali, il suono dei passi sulla terra.

e poi, percepisco, nelle illustrazione di Negrin, l’energia dell’arte di Frida Kahlo  e l’atmosfera dei dipinti di Rosseou il doganiere.

la storia è rivoluzionaria e struggente.e i motivi sono tanti.

innanziutto il lupo, che è anche il narratore, non solo sfata subito un luogo comune, sostenendo che i lupi non sono cattivi, ma racconta di aver vissuto una “cosa”che non capita di solito ai lupi: si innamora di una meravigliosa creatura vestita di rosso.

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il lupo, travestito da bosco( questo dettaglio mi ha affascinata tanto!)decide di seguire la bimba fino a casa della nonna, che, al contrario della favola classica, è descritta come rugosa, brutta  e vecchia; mangia la nonna per non vedersela più davanti( quindi non per cattiveria, ma per quanto è brutta!)e proprio in questo momento la bimba scopre la vera identità del lupo, che invece di spaventarla, la meraviglia.

“cosa sei?”- mi chiese la bambina-Mai visto in vita mia qualcuno più bello di te!sei forse un angelo?

ma purtroppo il destino scrive un seguito doloroso; la bimba inciampa e va a finire nella pancia del lupo, che inizia così a soffrire e ad esprimere la sua sofferenza ululando alla luna.

il lupo, credendo di aver visto un’altra bambina che potrebbe aiutarlo si avvicina per chiedere aiuto.

ma quella”bambina coi baffi”in realtà è solo un cacciatore.

 

un bagliore, uno sparo.

la bimba e la nonna escono dalla pancia del lupo, vive.

il lupo invece diventa un lupo nuvola, che non dimenticherà mai quella meravigliosa creatura vestita di rosso.

 

ho visto tanto dentro questa storia.

che l’apparenza e soprattutto i luoghi comuni spesso trasmettono una verità diversa da quella reale.

che la caccia proprio non mi piace.

che a volte cambiare prospettiva aiuta a scoprire nuove sensazioni, nuove realtà, illumina.

e che i lupi, i lupi non sono cattivi, anzi.

 

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e poi dietro, c’era dell’altro.

ultimamente apro sempre i discorsi di questo blog con una piccola confessione.

ecco, lo confesso: inizialmente questo libro non mi ha colpita molto.

anzi.a parte qualche risata che mi provocava mi chiedevo, ogni volta che lo sfogliavo, perchè lo avessi comprato.

davo la responsabilità della scelta al colore della copertina.

un violetto rilassante e zuccherino.

il piccolo coniglio bianco

poi un giorno ho portato il libro ad uno dei miei incontri di lettura coi bambini.

più andavo avanti con la storia, più i bimbi ridevano.

“angela ce lo rileggi?”

ho riletto il libro, con la sensazione, per la prima volta nella mia vita, di non capire dove fosse la bellezza di questo libro.

poi giorni fa, per sfida, l’ho ripreso in mano, e ho quasi visto un sorriso beffardo del coniglio in copertina.

ho letto lentamente, fermandomi sulle illustrazioni come non avevo mai fatto.

e ho iniziato a sorridere.

prima piano.

poi forte.

e, alla fine di tutto, mi è sembrato di entrare dentro ad una cantilena goliardica e ancestrale.

così ho deciso di fare piccola ricerca, e ho scoperto che dietro a questo libro, c’è dell’altro.

c’è che “Il piccolo coniglio bianco”di Xosé Ballesteros – Oscar Villan edito da Kalandraka ha vinto, nel 1999, il premio nazionale spagnolo per l’illustrazione.

c’è che è la traduzione di un racconto orale di un intellettuale portoghese(Adolfo Coelho) del 1800.

c’è che “Kalandraka”(il nome della casa editrice)è un termine che traduce la parola”la  zuppa di gallette che i marinai mangiavano quando non restava più niente”, ed è poi diventata anche il nome del progetto editoriale che, appunto,  recupera i racconti della tradizione orale e li riadatta in albi illustrati.

quest’ultima scoperta mi ha affascinata tanto.

e mi ha fatto rileggere l’albo con un cuore più scanzonato e predisposto all’avventura.

la storia, come dice lo stesso autore, è fresca e semplice : narra di un piccolo coniglio bianco che un giorno esce di casa per raccogliere nell’orto di fronte i cavoli per fare la zuppa.

quando prova a rientrare, trova non solo la porta chiusa, ma anche un ospite poco gradito che occupa la sua casa, una capra  arcigna e spaventosa.

il piccolo coniglio bianco chiede aiuto a vari animali: la gallina, il cane , il toro ma sono tutti spaventati dalla capra.

solo la minuscola formica si propone di aiutarlo.

e quando la capra antipatica cerca di spaventarla, oltre a risponderle per le rime, la formica le fa il solletico e la fa anche scappare a gambe levate!

il piccolo coniglio e la formica possono così gustarsi insieme una squisita zuppa di cavoli appena raccolti.

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due sono i punti di forza del libro: le illustrazioni, grottesche e buffe.

e i dialoghi tutti in rima :

“poi sono tornato a casa per farmi una bella zuppa,/ma dentro c’era la capra caprella, / che se mi salta addosso mi strappa le budella.”

inoltre a me è arrivato anche altro.

la capra mi è sembrata un pò tutto ciò che ci ostacola, che si impadronisce del nostro spazio e non ci fa più rientrare in esso.

gli animali che incontriamo, forse, sono tutte le nostre paure, quelle che non ci fanno affrontare la capra.

la formica è un modo di vivere, che privilegia l’intelligenza, il coraggio e la sensibilità ed infatti alla fine, nonostante l’apparenza minuta, riesce a far scappare la capra grossa e antipatica.

se volete sperimentare, potete proporre questa lettura a partire dai due anni e mezzo.

 

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il diciannove marzo è tutti i giorni.

devo prima fare una confessione: a me le feste tipo quella della mamma, del papà, del nonno e chi ne ha più ne metta stanno iniziando a non piacermi.anzi, non mi piacciono proprio.

i motivi sono tanti, ma non li dirò qui.

qui, oggi, voglio rispondere a chi mi ha chiesto delle letture che parlano del papà.

se una data segnata sul calendario può far scoprire delle storie io sono felice, quindi.

quindi ci sarebbe tanto da dire, sui papà intendo.

Perché si parla tanto delle mamme, dei loro sacrifici, della loro stanchezza, dell’impatto che ha un figlio sulla loro vita, su quello che fanno per un bimbo.ma si parla poco, secondo me, di tutto quello che fanno, con un’energia a volte molto diversa, i papà. Nessuno dà più, nessuno dà meno.

Sono solo colori diversi.

in cucina, con papà, il pigiama è messo a rovescio e le posate sono tutte storte. E il purè è un pò troppo salato. ” con la mamma”, dice Clara, “il purè è dolcissimo, quasi zuccherato”. Clara è la protagonista del libro “Stasera sto con papà” di Nadine BrunCosme e Magali le Huche, edito da Clichy.

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Una sera la mamma non c’è e Clara resta col papà. Con lui deve fare tutte le cose delle quali di solito si occupa la mamma: il bagnetto, la cena, la nanna. Ogni momento inizia con la premessa della bimba “con l mamma il bagnetto è ..”,” con la mamma il purè è. .”, ” con la mamma accendiamo la lucina..”, come se volesse dare le istruzioni al papà un pò pasticcione.

Il papà di Clara è effettivamente un pò sbadato: mette il pigiama al rovescio, quando il pupazzo a forma di coccodrillo mangia i piedini di Clara sporca tutto di schiuma, invece di leggere lentamente una fiaba della buonanotte ne legge due interrompendosi, ogni tanto, per mettere i pupazzi uno accanto all’altro.

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Con la mamma tutto fila liscio, col papà succede qualche pasticcio, ma è un pasticcio divertente che fa vedere tutto in modo diverso, non più bello.diverso.
E allora sì, viva i papà.
I papà che stanno in ufficio tutto il giorno e quando tornano la sera a casa, si rimboccano le maniche della camicia, si siedono per terra e costruiscono la pista di macchinine con il proprio figlio.
Viva i papà che cucinano, stirano, stanno coi figli mentre la mamma lavora.
Viva i papà un pò severi.
quelli giocherelloni.
quelli che mettono il pigiama al rovescio e zuccherano il purè, che alla fine, magari, piace di più di quello salato.
E viva le storie che raccontano proprio questo.
il libro appena descritto è adatto a bambini di età dai due anni e mezzo in su (ma anche prima se volete sperimentare come me!)
se vi è piaciuto questo libro potete acquistarlo qui:

 

Di libri che parlano del papà ce ne sono tanti, e anche molto belli. A Leo, per esempio, piacciono tanto tre libri scritti dello stesso autore, Emile Jadoul, editi della stessa casa editrice, la babalibri.
-“Scacciabua ” parla di un papà che ha il super potere di mangiarsi le bue del proprio coniglietto(si, è una famiglia di conigli!).
il finale è ironico tenero perchè quando si fa la bua anche il super papà ci pensa la super mamma a mangiarla e far passare la paura!
adatto dai due anni in su.

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-In “bacioespresso” si parla, sempre con tono ironico e leggero, di quei papà che spesso, troppo presi dal lavoro, si dimenticano un pò di giocare, di fare le coccole, di racconatare le storie ai loro bimbi.
in questa storia c’è però qualcuno che glielo ricorda.
adatto dai due anni in su.

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Anche questi due ultimi libri sono adatti a bimbi dei due anni in su.
-Il mio preferito, tra quelli di Jadoul sul papà, è “le mani di papà”.
Le immagini sono grandi, poetiche e sembrano sospese.
Le parole, pochissime, sono quasi sempre evocatrici di suoni.
È la storia di un percorso.
Il papà accoglie il bebè, lo porta in fascia, gli fa fare vola vola, gli è vicino durante i suoi primi giochi d’acqua, lo supporta quando fa i primi passi. Questo libro è il viaggio che il bimbo fa quando nasce: tutto parte dall’accudimento, dalle coccole, per poi arrivare ai primi segni di indipendenza.
Adatto dai 18 mesi in su.
festa papa blog 22
(di questo libro ho solo questa foto perchè l’ho prestato e attualmente non ce l’ho con me!)
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che dire.
viva i papà tutti i giorni.
e le mamme.
e i nonni.
e i boschi e tutto quello che per noi è speciale.
bisogna celebrare quello che per noi è speciale tutti i giorni.

anche una sciarpa può raccontare una storia.

non l’avrei mai detto ma mi piace cucire.

o comunque provarci.

quando ero piccola ricordo che mia madre mi chiamava, ogni tanto, quando riparava qualche tasca, qualche buco dei calzini.

io mi mettevo vicino a lei, e ammiravo quel trenino di filo che faceva nascere sulle stoffe.

ma mi dicevo che mai avrei cucito.

in realtà questa convinzione è rimasta intatta dentro di me fino a qualche settimana fa.

cucito  7

poi è nata una bimba speciale.

voglio regalarle qualcosa che le possa raccontare una storia, ma in modo morbido, ho pensato.

e così, senza valutare il fatto che io non so cucire, ho iniziato ad infilare l’ago.

e a fare trenini di filo.

volevo che le piccole mani della bimba sentissero una  piccola storia, e che addirittura la creassero loro.

e così è nato lui, il mio primo silent book di pannolenci.

libro per malika

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cucire mi piace tanto.

perchè si sente tutta la magia del dare vita a qualcosa dal nulla.

perchè si costruisce qualcosa.

e poi perchè bisogna stare fermi, dimenticare tutto il resto, e, se si sbaglia, rifare dall’inizio.

è un pò una scuola di concentrazione e pazienza.

perchè anche una sciapra può raccontare una storia.

perchè leonardo ama tagliare con le forbici, quindi a volte ci mettiamo al tavolo.lui taglia, io cucio e ci divertiamo.

e poi(lo so, a volte sono esagerata con questa storia degli elenchi, ma così riesco a dirle meglio le cose) i luoghi e le persone legati al cucito hanno sempre qualcosa di fiabesco.

come il vecchietto che ha la merceria sulla tiburtina.

avrà più di ottantanni.

basso, occhi scavati e neri come due mirtilli.

la sciarpa scozzese al collo.

qualche parole in americano tra una frase e l’altra.

ha lavorato per anni negli stati uniti da giovane.

la sua merceria nasconde qualcosa di magico, me lo sento.

già capire qual’è l’entrata è un pò un mistero.

scruta ogni cliente che entra, come se potesse minare il suo tesoro nascosto chissà dove.

e poi ha delle forbici grandi e vecchie, ed un metro di legno così consumato che sembra di biscotto.

mi piace comprare le cose da lui, perchè sono le cose che si usavano una volta.

cose buone, che sanno davvero di stoffa e di vecchie scatole di latta.

 

cucire mi piace.

perchè  leo voleva una nuvola.

e io gliel’ho data.

cucito 6

 

 

grazie a Chiara, che mi ha fatto scoprire la merceria magica.

grazie ad Arianna, la mia dolce compagna di avventure sartoriali e non solo(ha un blog bellissimo!) che mi ha fatto la foto davanti al negozio.

e grazie a Marisa, che mi ha fatto conoscere i trenini di filo, e forse, quando mi chiedeva di mettermi accanto a lei, ha fatto entrare in modo silenzioso questo piccolo amore.

da cuore a cuore.

questa intervista è speciale per vari motivi.

perchè a rispondere alle mie domande sono due persone.

perchè è partita da qualcosa che avevo dentro io, ma arriverà a tante persone, lo so.

perchè secondo me farà luce.

ho parlato del portare in fascia con Adele Ricci, professionista del portare, ed Elena Alessandra Zo, attrice, coreografa e danzatriche che insegna la danza in fascia.

 

ADELE RICCI, professionista del portare.

Adele, come ho scritto , sei una professionista del portare.come sei arrivata a conoscere la fascia ? e quali studi hai intrapreso per poter fare questo lavoro ?

Ho conosciuto la fascia quando ero in attesa del mio primo bimbo durante gli incontri di un corso preparto al di fuori delle solite strutture.
In quei mesi decisi che sarei stata una “mamma canguro” ma non avrei mai pensato che il babywearing sarebbe diventata la mia strada…ed invece a distanza di pochi mesi dal parto ero già iscritta alla Scuola del Portare presso la quale ho ho studiato e circa un annetto dopo mi sono certificata Consulente del Portare®.
Da allora continuo ad aggiornarmi frequentando workshop e corsi (sempre con la Scuola del Portare).
L’amore per il mio lavoro ed il mondo del babywearing che è in costante evoluzione mi spronano in questa continua ricerca di conoscenza.
L’ultimo degli aggiornamenti che ho fatto riguarda il portare i gemelli ed il portare in tandem,cioè il portare due bambini contemporaneamente.

 

cosa ti ha spinto a trasformare il tuo amore per questo “strumento”in lavoro?

Samuele,il mio primogenito,è nato con taglio cesareo gratuito, improvviso e non voluto.
Il tipo di parto che io, nipote di ostetrica, mai avrei immaginato potesse toccarmi in sorte.
Quel parto mi ha lasciato più che una ferita fisica una ferita nell’animo che bruciava tantissimo.

Portare Samuele, in fascia, da subito, per me è stato fondamentale.
Sentivo che quegli abbracci di cotone rinsaldavano il nostro legame, che quei nodi stringevano i nostri cuori e che ci veniva dolcemente restituito quello che c’era stato tolto e incredibilmente allo stesso tempo ci veniva donato molto molto di più.
Nulla neanche lontanamente paragonabile a quello che io “aspirante mamma canguro” potevo immaginare.
Qualcosa di infinitamente migliore!
Ed è lì che ho avuto l’illuminazione (come son solita chiamarla scherzosamente).
Ho capito che quello che volevo fare nella vita era aiutare le altre mamme a provare quelle stesse emozioni che provavo io.
Aiutarle,incoraggiarle,supportarle,consigliarle…
Il cuore me lo urlava a gran voce:era quella la mia strada.
Ho chiamato subito la Presidentessa della Scuola del Portare …e tutto il resto è storia!

 

Quali sono i benefici del portare in fascia per il bimbo e quali per chi lo porta?

Questa è una domanda a cui rispondere sarebbe lunghissimo…ma ci proverò ugualmente cercando di fornire un quadro generale e di essere sintetica.
La cosa fondamentale da dire è che per i neonati essere portati in fascia risponde ad un loro bisogno primario :il contatto!
E’ scritto nel nostro DNA.
Inoltre con la fascia si va a creare un continuum tra vita intrauterina ed extrauterina, diviene quello che può definirsi  un “utero di transizione” per circa tutto il primo anno di vita,fino a quando sistema neurologico e sviluppo motorio non saranno completi.
Portare rispetta la fisiologia del bambino ed è comodo sia per lui che per i genitori,in quanto le legature insegnate da noi Consulenti non vanno solo a salvaguardare il portato ma anche il portatore rispettandone il baricentro e permettendo lo scarico corretto del peso.
Inoltre favorisce lo sviluppo psicomotorio,relazionale e sociale del bambino.

Anche il processo di attaccamento (bonding sia materno che paterno) è agevolato e aiuta nella comunicazione rendendo anche i genitori più pronti al soddisfacimento dei bisogni del proprio bimbo e quindi più competenti e sicuri di sé.
Per i papà poi è l’occasione di provare le emozioni “del pancione” che fino a quel momento hanno vissuto solo da spettatori.
Portare aumenta la prolattina favorendo una maggiore riuscita dell’allattamento al seno.
Aiuta le mamme a ritrovare il proprio baricentro dopo la gravidanza.
E’ stato dimostrato anche come il cortisolo (l’ormone dello stress) scenda notevolmente nel bambino portato.
Aiuta a stabilire i ritmi sonno\veglia del neonato.
E i bambini portati piangono meno.
Rispondono inoltre meglio al dolore fisico perché il contatto continuo aiuta la produzione di endorfina che funge da analgesico.
Essere portati correttamente poi apporta beneficio per quei bambini che soffrono di reflusso o di coliche..
Etc etc etc…
Ce ne sarebbero ancora tante da dire in realtà….
Spero di aver tuttavia fatto un quadro abbastanza chiaro o almeno di aver messo il seme della curiosità.

Invito chiunque voglia approfondire a partecipare ad un mio incontro informativo gratuito.
Ne faccio spesso un po’ ovunque.
O se non siete delle mie parti a quello di una mia collega.

 

Tu sei madre di due bambini.una domanda che mi piace fare alle mamme che lavorano: come si conciliano maternità e lavoro ?

Nel mio caso per fortuna lavorando come libera professionista riesco a gestirmi gli orari andando ad incastrare i miei impegni sui loro.
Poi entrambi in caso di necessità possono venire con me.
Li ho abituati fin da piccoli e lavoro in ambienti in cui i bambini sono sempre ben accetti.

 

Se qualcuno volesse frequentare un tuo corso sul portare in fascia, dove può trovarlo?

In questo momento sto tenendo corsi di gruppo a Montesilvano,L’Aquila e Pescara.
Presto ne partiranno a Chieti.
Inoltre sono sempre disponibile per le consulenze individuali e le nuove avventure.
E’ possibile comunque tenere d’occhio tutte le mie iniziative ed i miei corsi sulla mia pagina Facebook: Tutti in fascia con Adele .Lì ci sono anche tutti i miei contatti.
A breve conto di aprire un blog od un sito in modo da risultare facilmente raggiungibile anche al di fuori dei social.

adele ricci foto lezione

io non ho mai usato la fascia, ma il marsupio. e ricordo che, passeggiando per le strade( di una grande città come roma!) spesso le persone mi guardavano come una marziana o addirittura facevano commenti abbastanza buffi(“poverino, sai come sarà scomodo lì appeso!” ).secondo te perchè c’è ancora questa diffidenza nei confronti del portare ?

Certamente camminare “indossando” il proprio bimbo non è una cosa che passa inosservata.Per fortuna però siamo sempre di più.
Il babywearing lentamente si sta diffondendo e la nostra opera di informazione continua inizia a dare qualche frutto.
Io nella mia esperienza ho riscontrato che solitamente i giovani guardano incuriositi e le persone anziane con benevolenza ed approvazione.
I commenti meno carini arrivano dalla generazione di mezzo.
Quella generazione di genitori  vissuta con l’insegnamento che le braccia davano il vizio e che un tipo di educazione a basso contatto serviva per crescere dei bambini forti ed indipendenti.
Quella generazione di genitori vissuta con la convinzione che il latte artificiale fosse migliore di quello materno.
Per loro concepire un diverso modo di genitorialità è difficile ed a volte anche doloroso.
Solitamente io rispondo con un sorriso.
E penso a cosa debbono aver provato…

 

C’è una persona, un libro, un luogo che ti ha ispirata come madre? che ti ha fatto cambiare punto di vista su qualcosa o semplicemente ti ha aiutata in questa avventura?

E’ stato il primo incontro con mio figlio.La prima volta che la sua mano ha stretto la mia,che ho guardato i suoi occhi e sentito il suo profumo.
Lì ho capito che non esistevano libri né teorie…ho capito che c’eravamo solo noi.
Che non occorreva null’altro che amore e fiducia: fidarmi di lui e fidarmi di me stessa.

 

Un consiglio che vorresti dare ad una donna che ha appena scoperto di aspettare un bimbo ..

Fidarsi del suo istinto, sempre e comunque.
Una mamma sa cosa è meglio per il suo bimbo.
Sempre.
Non aver paura dei pregiudizi sociali,non aver paura del “vizio”,non aver paura di abbandonarsi all’amore…
L’amore è la chiave ed una mamma lo sa.
Se segue il suo cuore non sbaglia mai.

adele ricci 2

 

 

 

ELENA ALESSANDRA ZO, attrice, coreografa, danzatrice e insegnante della danza in fascia.

Elena, come hai scoperto la fascia ?

Ho scoperto la fascia perché ho navigato tantissimo in gravidanza, e ho trovato splendide amiche virtuali che sono state delle vere e proprie guide nella mia totale inesperienza e nel mio disperato bisogno di qualcuno che mi aiutasse a prepararmi e a rispondere ai miei mille dubbi sulla maternità. Una, preziosissima, un giorno mi aggiunse, tra l’altro, a alcuni gruppi sul portare. E mi si è aperto un mondo! Ho iniziato a sognare di poterlo fare anche io e così giù a studiare…materiali, supporti, legature, esperienze, tutorial…e a casa a provare tutto col pancione e un koala di peluche!
Porto Leandro dalla nascita, e la fascia, nel nostro percorso fino ad ora (che ha quasi 21 mesi) ha avuto un’importanza eccezionale.
Quando ho iniziato a provare la meravigliosa gioia di vivere con lui sul cuore, ho pensato a quanto sarebbe stato ancora più incredibile poter danzare con lui sul cuore!
È così, piena di sogni e ideali, come sempre, con al fianco un marito un po’ matto, come me, che mi ha aiutata e supportata a pianificare e pubblicizzare i corsi, e delle amiche e collaboratrici con cui mi sono confrontata nella programmazione delle lezioni, siamo timidamente partiti.

 

tra i vari lavori che fai, insegni danza in fascia alle mamme.di che si tratta? cosa ti ha fatta arrivare a conciliare il tuo amore per la danza e il tuo amore per la fascia?quali sono i benefici per la mamma e per il bimbo che frequentano un corso di danza in fascia?

mamma e bimbo che danzano in fascia provano benefici tanto a livello fisico quanto emotivo: intanto la mamma ha la possibilità di coccolarsi e riprendere consapevolezza della cura del proprio corpo tramite il movimento, un movimento studiato nel rispetto della particolare fase della vita di una neomamma (o di una donna in gravidanza), allungando, tonificando e anche rilassando il proprio corpo; nel mentre il bambino è cullato dolcemente, sente il piacere e il rilassamento della sua mamma e lo assorbe, spesso dorme cullato delicatamente dalla danza e dalla musica. Il nutrimento emotivo è, a parer mio, ancora superiore: la bellezza e dolcezza della condivisione di un momento di arte, il ritagliarsi uno spazio tutto solo per la coppia mamma e bimbo nella vita spesso troppo frenetica di una mamma tra casa, altri figli, lavoro ecc ecc. E poi la condivisione con altre donne che stanno attraversando le stesse delicate, splendide e difficili fasi. Il leggersi nelle altre, l’essere supportata o di supporto, il divertirsi insieme. Il tutto accompagnato da musica, chiacchiere e risate.

 

 

Tu sei di Asti.come ha reagito la città ad un corso così particolare( e a mio avviso stupendo!) come il tuo?

Io sono di una cittadina di provincia che noi abitanti spesso critichiamo di non essere particolarmente di larghe vedute, o aperta alle novità. Quindi quando ho dato vita al corso (in un momento in cui in Italia se ne sentiva ancora parlare pochissimo, forse niente! mentre ora la cosa si è parecchio diffusa) non ero particolarmente ottimista sull’accoglienza dei miei concittadini, e puntavo di più a ingranare in realtà più attive, anche solo nel babywearing, come Torino. Invece…la mia città mi ha stupita! Non solo le mamme, le grandissime, coraggiose, avventurose, spiritose, mamme piene d’amore della mia città, che hanno risposto splendidamente e hanno partecipato e partecipano con entusiasmo. Ma anche giornali e radio, che, spontaneamente, solo seguendo le mie foto e proposte sulla pagina Facebook da cui tutto è partito, mi hanno contattata dicendomi di voler scrivere di noi, o ospitarci in radio per poter parlare di una così bella iniziativa.

ARTICOLO ELENA ALESSANDRA ZO

 

Come ho scritto, tu fai anche altri lavori.come si conciliano lavoro e maternità?

lavoro e maternità non si conciliano bene; quando si dice che per Le donne lavoratrici è difficile essere mamme come vorrebbero, si dice una grande verità. La maternità di una donna lavoratrice è spesso fatta di compromessi e di sacrifici, su entrambi i fronti. Io ho fatto delle scelte dopo la nascita di Leandro. Facevo troppe cose, tutte amate e per cui avevo tanto combattuto e studiato, ma dopo la sua nascita non c’era proprio più posto per tutte, e nulla valeva quanto il tempo che avevo da dedicare a lui. La danza però, il grande amore di una vita, è rimasta, con un po’ di fatica e di sacrifici, ma con tanto entusiasmo e desiderio di viverla insieme, perché da quando lui è qua quello che facciamo insieme è bello il doppio, lavoro incluso! Leandro è stato spesso con me a lezione o a prove di spettacoli, abbracciato dalla fascia e dalla mamma, a dormire sereno sul mio cuore o a osservare, vigile e curioso, dalla mia schiena.Tutto quello che facevo è rimasto coinvolto in un vortice di cambiamenti con l’arrivo di Leandro. Anche la mia attività teatrale: ho scoperto la gioia di mettere le mie competenze al servizio di qualcosa di più alto e meno autoreferenziale del teatro, ossia al servizio dei bambini! Sono diventata prima lettrice volontaria del progetto Nati per leggere nei nidi della mia città, per poi dare vita a degli incontri di letture animate uniti a atelier creativi o musicali con una amica/collega e la sua bella associazione. E devo dire che non potrei chiedere un pubblico più difficile, impietoso, onesto e bello di questo! E il premio dei loro sguardi attenti e catturati dalle mie parole.

elena alessandra zo singola lezione

 

Elena, sei laureata al dams( con indirizzo teatrale in storia della danza), sei attrice teatrale, da dieci anni insegni danza classica. perchè l’arte è così potente?e che ruolo ha nell’educazione dei bambini secondo te?
Per me l’arte è vita. Ho iniziato da qualche tempo un diario della gratitudine in cui ogni sera, prima di andare a dormire, scrivo tre motivi per cui in quel momento sono grata alla vita. E mi sono accorta che l’arte entra quasi sempre, in un modo o nell’altro, nei miei pensieri. L’arte è la bellezza del mondo e dell’uomo. Il bambino che potrà crescere in un ambiente in cui l’arte sia parte della quotidianità, in cui la letteratura sia la norma (la letteratura per l’infanzia propone dei veri e propri capolavori per piccoli e piccolissimi), in cui ci sia un’attenzione alla musica che vada oltre alle solite canzoncine per bambin (per quanto anch’esse utilissime), all’arte, che vada oltre le stampe dei soliti personaggi dei cartoni animati, alla danza e al movimento in musica, che vada oltre alla solita psicomotricità, è un bambino fortunato. E’ un bambino che cresce con tutta una serie di strumenti in più, che saprà godere di più della bellezza del mondo, che saprà andare più a fondo nel comprendere i sentimenti umani. E’ un bambino che probabilmente saprà esprimere se stesso attraverso la libertà dei linguaggi artistici, oltre a quello verbale.
E danzando con la mamma, quel bambino, prima nella pancia, poi sul cuore della mamma, impara, formando se stesso e la sua personale percezione del mondo, che il movimento in musica, la danza, l’armonia fanno parte della “normalità”, e li porterà con sé come un bagaglio prezioso.
So che hai collaborato con le insegnanti del portare.in che modo?
Nel nostro cammino di danza in fascia abbiamo collaborato finora con alcune consulenti del portare molto brave, disponibili e appassionate, che hanno sposato con entusiasmo il progetto.
In particolare per Asti ringrazio Annalisa Iocolano, che è sempre stata pronta a intervenire ai nostri eventi e a rendersi disponibile per le mamme che ne avessero necessità e desiderio (e che si è tanto appassionata all’argomento da aver scritto la sua tesina di fine corso proprio su questo) e per Torino la dolcissima e bravissima Federica Fassola.
Parlaci del flashmob babywearing nazionale, del quale hai ideato, insieme ad altre donne, la coreografia!

Lo scorso anno nei gruppi italiani di babywearing nasce l’idea di organizzare un flashmob (per chi volesse approfondire ecco come definisce il flashmob wikipedia https://it.wikipedia.org/wiki/Flash_mob) a livello nazionale per poter danzare la nostra gioia di essere mamme e di portare. Io e altre cinque mamme portatrici/danzatrici su tutta Italia ci proponiamo di occuparci della coreografia, mentre un papà portatore musicista ci compone, apposta per l’occasione, una canzone e una delle mamme che hanno avuto l’idea, Michela Schettino, si sbriga gran parte delle questioni organizzative! Le città aderiscono, le mamme studiano, io cerco di aiutarle con tutorial vari, e alla fine scendiamo a danzare in piazza! Per ben due volte, la prima a giugno, la seconda a inizio ottobre in occasione della Settimana Internazionale del Babywearing. Sottolineo che è stata un’iniziativa completamente slegata dalle varie scuole del portare, nata proprio dall’entusiasmo delle mamme e dal nostro desiderio di mostrare la bellezza del babywearing e il nostro amore per i nostri figli e per il portarli sul cuore. Le coreografe al mio fianco di questa prima edizione sono state Ilenia Casano, Giorgia Foglino, Angela Tuon, Isabel Nunez e Arianna Lakay, e abbiamo danzato sulle note composte per noi da Paolo Pianezzola. Io e Leandro, nello specifico, abbiamo danzato a Torino, che ha risposto meravigliosamente entrambe le volte all’evento. Per chi avesse piacere di vederci, ecco un piccolo montaggio di prove e danze del flashmob di ottobre a Torino!

Ultima domanda, che consiglio daresti ad una donna che ha appena scoperto di aspettare un bimbo?
A una donna che ha appena scoperto di aspettare un bambino consiglio di godersi ogni istante della magia e del potere della vita. Di sentirsi una divinità portatrice di vita, preziosa come non mai, anche quando i fastidi e gli acciacchi della gravidanza la faranno sentire tutt’altro! Le consiglierei di non stare ad ascoltare niente e nessuno né di decidere a priori come allevare suo figlio, perché se si concederà di ascoltarsi e di ascoltarlo allora troverà la strada giusta per lei e per lui, quella che nessun altro può conoscere o consigliarle. E se sente il desiderio di tenere il suo bimbo, una volta nato, sempre con sé, di avvicinarsi al babywearing senza paura, senza ascoltare chi le dirà che è una cosa da hippy, o che fanno in Africa, o che lì dentro il bimbo soffoca, o che tirerà su un bambino incapace di staccarsi da lei. Le consiglio di non ascoltare nessuno, e di tenere stretto stretto il suo bimbo sul cuore. Si farà e farà a lui un dono per la vita.
elena alessandra zo foto profilo bellissima
Ringrazio di cuore Adele ed Elena, prima di tutto per l’entusiasmo con il quale hanno accolto la mia proposta di intervistarle.
poi per la dolcezza e gentilezza con le quali si sono messe a disposizione.
poi per la serietà del loro lavoro.
eh sì, perchè qui, nonostante la diffidenza di molti, si tratta non solo di un dono, quello di portare luce ad altre mamme, di accompagnarle nello stupendo ma difficile percorso della maternità, ma si tratta di un vero e proprio lavoro, fatto di studi, ricerche, qualifiche.
le parole di Adele ed Elena mi hanno fatto scoprire il potere e la bellezza del portare, di questi abbracci fatti di stoffa e di magia.
è come se avessi scoperto un altro pianeta!
Se siete interessati, potete seguire il lavoro di Adele Ricci sulla sua pagina facebook qui , e il lavoro di Elena Alessandra Zo sulla sua pagina facebook , qui .
 le fotografie relative ad Elena Alessandra Zo sono state scattate nei locali della “My Day Academy”.

prezioso come un ricamo antico.

quando prendo in mano questo libro è come lenzuolo, di quelli che hanno i ricami ai lati.

quelli che le nonne e le mamme delle nonne lasciando in dote alle nipoti.

 

inizialmente pensavo che non sarei stata capace di parlarne.

perchè in fondo è un libro che non va raccontato, quando lo si apre tutto arriva in modo silenzioso e forte.

e poi perchè mi piace così tanto che non mi vengono le parole.

però voglio provarci a farle uscire.

 

“Un giorno, senza un perchè” è un albo illustrato da Monica Barengo e scritto da Davide Calì ed è edito da Kite edizioni.

non so da dove iniziare.

forse dalla storia, quella del signor I.,un uomo dagli occhi dolci e sognanti al quale una mattina, senza un perchè, spuntano le ali.

il signor I.consulta varie persone sul perchè di queste ali:il dottore, la madre(che le dice che “in famiglia nessuno aveva mai avuto le ali.forse un lontano cugino le aveva avute, ma da piccolo.), la vicina di casa, il custode; nessuno riesce a dargli una spiegazione, il capo ufficio addirittura gli dice di toglierle perchè non si addicono al lavoro.

poi l’uomo saggio dice che tutte le cose hanno un perchè, ma in questo caso non sa quale.

 

poi.

un giorno senza un perchè 5

poi il signor I.incontra una ragazza.una ragazza con le ali.

“eccoti finalmente.ti ho cercato tanto.”

un giorno senza un perchè 6

 

le illustrazioni di Monica Barengo(che è l’illustratrice del mio cuore, nel senso che riesce a tradurre le parole del mio cuore)sono dei ricami preziosi su un lenzuolo prezioso.

i colori sono autunnali, romantici, sanno di carta antica.

tutto, l’abbigliamento e le pettinature dei personaggi, le persone incontrate dal signor I.(mestieri che non esistono quasi più: il custode, l’uomo del negozio di cravatte), gli oggetti(come il telefono!), i luoghi fanno entrare in un’epoca passata.io, per esempio, respiro gli anni cinquanta.

 

ho un segreto.

credo che sia il libro sull’Amore più bello che ci sia.

perchè parla della speranza(quella che il signor I., anche se scoraggiato, non abbandona mai).

perchè parla del destino, che c’è, e le sue risposte arrivano forti se ci si lascia guidare dal cuore.

perchè parla di pazienza e resistenza.

perchè parla di due ali che possono sembrare due cose strane a tutto il mondo, ma sono il prolungamento della nostra anima, e ad un certo punto spuantano per cercare l’anima di qualcun’altro.

“Un giorno, senza un perchè”è un albo che mi sento di suggerire veramente a tutti, grandi e piccoli( dai tre anni in su) perchè fa bene al Cuore,

la canzone di questa storia, per me è “estate” di bruno martino

un giorno senza un perchè 7

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re Valdo e il drago!

Avevo iniziato a scrivere qualcosa di questo libro ieri, su un taccuino.

Poi stamattina, seduta al tavolo di una caffetteria, ispirata dalla dolcezza con la quale il sole ha deciso di scansare  la nebbia ( insolita per roma)l’ho riletto di nuovo. Ecco. Bisognerebbe sempre seguire i suggerimenti del sole, delle nuvole e degli alberi.

rileggendo, mi sono arrivate le sensazioni di quando, bambina, mi bastavano un bastone, una bicicletta più grande di me e un valigia di cuoio trovata nella cantina di nonno Nicolino per entrare in una storia fatta di principesse e principi.

“Re Valdo e il Drago”, scritto da Peter Bently ed illustrato da Helen Oxenbury ( che ha illustrato anche il mio amato ” a caccia dell’orso “!) edito da Il castoro, parla proprio di tre bambini che decidono di costruire un castello e di sfidare draghi e mostri per proteggere il re Valdo(che è uno dei bambini).

dopo aver realizzato il castello con uno scatolone di cartone e un lenzuolo, i tre affrontano le bestie del bosco!

re valdo libro blog 1

re valdo libro blog 2poco dopo però, due dei prodi cavalieri vengono presi in braccio da dei giganti(i genitori!) e il re Valdo resta da solo.

dopo vari rumori(la rana, un gufetto)il coraggio di re Valdo inizia a tentennare, fino a quando, di fronte al suo castello di carta, appare la Cosa!

l’avventura del re termina con un bell’abbraccio della mamma e il papà(la cosa appunto!) che in un attimo spazzano via la paura.

 

sono talmente tanti gli aspetti che amo di questo libro che ho bisogno di elencarli:

  • il richiamo ai giochi fatti con poco: lo scatolone diventa un castello,un bastone e un tovagliolo diventano una bandiera, i rami raccolti per terra spade degne di un cavaliere!

mi sono venuti in mente i racconti della mia mamma, che spesso mi parla di quando,          i giochi si inventavano e si costruivano trasformando delle cose in altro.

  • il filo che lega le pagine: l’immaginazione dei bambini, che potere ha!
  • le illustrazioni, non so come definirle ma sapete quando un disegno lo sentite vostro?ecco.
  • quello che è arrivato a me come mamma. spesso a noi genitori capita di andare così di    fretta da non vedere un castello, ma semplicemente un vecchio scatolone. di essere così presi dalle faccende quotidiane da non riuscire a capire un’emozione legata al gioco.l’abbraccio con la mamma alla fine della storia, infatti, è la quarta  cosa che mi piace di più del libro.è bello vedere come il “gigante”accolga la paura del piccolo re, la sua eccitazione legata all’avventura appena vissuta.

re valdo libro blog 8

 

in fondo, è capitato anche a noi, almeno una volta, di aver fatto una barca coi fogli di giornale, di aver raccolto i legnetti per costruire una capanna.di aver giocato a fare i pescivendoli al mercato vendendo le mollette dei panni alla propria mamma.

a volte,il segreto, è semplicemente ricordarci come eravamo.

leo e natura valdo

libro adatto ai bimbi dai due anni e mezzo in su.

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